L’intellettuale: una parabola di solitudine
Destinatario: Giornale Scolastico
Che a cavallo del secolo dei Lumi e dei primi bagliori romantici, l’intellettuale abbia cominciato ad assumere un ruolo di esule, alla stregua dell’eroe romantico è tristemente risaputo. Le trasformazioni sociali che coincidono con il trionfo dei valori borghesi quali l’utile, il profitto, il calcolo sanciscono la conseguente emarginazione del ruolo dell’intellettuale.
Riuscirà mai l’intellettuale a reintegrarsi riguadagnandosi la dignità indiscussa e l’autorevolezza che prima gli sono appartenuti? Ad oggi sembrerebbe proprio di no.
Come R.Cesarini sottolinea ne “Il materiale e l’immaginario”, la figura di Foscolo ed in particolare quella di Jacopo Ortis, alter-ego del suo autore, protagonista del celeberrimo romanzo epistolare siano la palese testimonianza della crisi: “di un vero e proprio progetto di rifondazione culturale e politico […] dove il suicidio del protagonista corrisponde nell’ordine simbolico ad una realtà storica e biografica”.
Nell’Ortis Foscolo relega l’intellettuale ai margini delle tre grandi tipologie che costituiscono l’umanità: “i pochi che comandano; l’universalità che serve; e i molti che brigano” alla stregua di un “cane senza padrone. Ma la sua è una posizione indomita e conscia di una realtà ineluttabile di fronte alla quale unica e certa consolazione rimarrà la coscienza e la consapevolezza di una morte nella propria patria.
La tragicità del suicidio di Ortis che rappresenta l’epilogo del contrastato dissidio tra il protagonista e il mondo a partire dalla società di cui dovrebbe fare parte fino all’amore negato è la stessa imbracciata dal protagonista de “I dolori del giovane Wherther” di W.Goethe che con altrettanta veemenza urla come “tutti gli uomini straordinari i quali hanno compiuto qualcosa di grande, qualcosa che varcava i limiti delle nostre possibilità, sono sempre stati diffamati come ubriachi e pazzi”.
Werther e Ortis non sono altro che due tragici annunciatori di quella che ineluttabilmente sarà nei secoli a venire la sempre più marginale condizione che connoterà l’intellettuale moderno. La figura del poeta “vate” che si investiva del ruolo d’interprete e guida dei sentimenti delle masse sarà offuscata dai valori borghesi che sanciscono un predominio puramente commerciale dell’arte a discapito del carattere sacrale della bellezza.
Noi, altro non siamo che i protagonisti di una società che continua ad assistere con toni a volte imbarazzanti alla mercificazione dell’Arte e della cultura come se nulla più si potesse per ritrovare quella spiritualità e nobiltà d’animo della bellezza che fanno grande una civiltà.
PS se commenterete siate clementi
RispondiEliminaBen fatto, c'è poco da dire. Centrato, ben scritto, affatto "anacolutico"...
RispondiEliminaCesarani si chiama così e non Cesarini (ma forse erano sbagliate le fotocopie?)